L'Infinito che abita il Finito
- Tommaso Garofalo

- 8 set
- Tempo di lettura: 1 min
La luna piena che appare tra gli alberi è il riflesso della pienezza interiore a cui l’uomo tende.
La sua luce non è propria, ma nasce dal Sole, e in questo rimanda all’idea che la coscienza umana non brilli di una luce autonoma, bensì rifletta un principio superiore, universale.

La selva con i suoi alberi è la condizione dell’esistenza terrena: un intreccio fitto, talvolta oscuro, che nasconde e confonde.
Camminare nella selva, affrontare il limite, il dubbio, la pluralità delle vie.
Ma tra le ombre emerge un varco, uno squarcio verso l’alto: lì si rivela il cielo.
L’uomo che guarda non è passivo spettatore, ma colui che accetta di sollevare lo sguardo.
Questo atto esprime la tensione dell’essere umano verso la trascendenza, il desiderio di oltrepassare il contingente per ricongiungersi con ciò che è eterno.
Lo splendore infinito che lo illumina non proviene solo dall’alto, ma sorge dentro sé: è il riconoscimento che ciò che l’uomo cerca nel cielo è già radicato nella sua essenza.
La visione del cosmo diventa specchio del sé.
In questo incontro tra il buio della foresta e la luce della luna, tra il basso e l’alto, l’uomo comprende che il senso dell’esistenza non è fuggire il mondo, ma scoprire che l’infinito abita già dentro il finito, e che la vera illuminazione consiste nel riflettere consapevolmente quella luce universale.







